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Hikikomori: la Realtà Virtuale per accedere al loro mondo

Welcome to the NHK è un famoso romanzo giapponese, poi diventato anche manga e anime, che racconta la storia di un personaggio che ben si allinea con l’immaginario dell’hikomori: un adolescente o giovane adulto che si è ritirato dalla società e spesso è ossessionato da tv, videogiochi, web. Raramente lascia la propria stanza.

hikikomori

“Per un hikikomori, l’inverno è doloroso perché tutto sembra freddo, gelido e solitario. Altresì, la primavera è dolorosa perché ognuno è di umore positivo, quindi invidiabile. Ovviamente, l’estate è particolarmente dolorosa…”

― Tatsuhiko Takimoto, Welcome to the N.H.K.

Welcome to the NHK è un famoso romanzo giapponese, poi diventato anche manga e anime, che racconta la storia di un personaggio che ben si allinea con l’immaginario dell’hikomori: un adolescente o giovane adulto che si è ritirato dalla società e spesso è ossessionato da tv, videogiochi, web. Raramente lascia la propria stanza.

L’hikikomori è stato inizialmente delineato come un individuo tipicamente giapponese ma ad oggi il fenomeno è diffuso anche in Occidente e spesso si sovrappone al fenomeno dei Neet (dall’inglese, “non occupato né nel mondo del lavoro né in quello dell’istruzione). Si tratta di fenomeni conosciuti anche grazie alla fama che hanno raggiunto con lo spopolare di moltissimi anime sul tema. Neet e hikikomori non sono termini totalmente sovrapponibili ma i vissuti relativi alle due condizioni possono avere delle somiglianze.

Hikikomori e Neet: fenomeni uguali o sovrapponibili?

Hikikomori è una parola giapponese che indica coloro che decidono di stare in disparte (hiki) e di ritirarsi dalla vita sociale (komoru). Ciò non sempre indica persone che non sono impegnate nel lavoro o nella formazione. Grazie al mondo del web, oggi, è possibile sia avere un lavoro retribuito che degli impegni formativi. La principale caratteristica dell’hikikomori è la scelta consapevole di vivere in disparte rispetto alla società in cui vive. Gli ultimi numeri annunciati parlano di 100 mila casi italiani di hikikomori.

L’acronimo inglese Neet, invece, indica persone che oltre a non essere impegnate in alcun tipo di formazione o di impiego non sono nemmeno interessate a cercare una forma di educazione o di retribuzione. In Italia, la fascia d’età interessata è compresa fra i 15 e i 29 anni mentre a livello generale può andare dai 16 ai 35 anni ed estendibile addirittura ai 65 anni (“madao” in giapponese).

Il Regno Unito è stato il primo Paese a prestare attenzione al fenomeno ma ormai si sta diffondendo in diversi Paesi del mondo. L’Istat ha annoverato 2 milioni di italiani come appartenenti a questa categoria, nel 2009, dichiarando nel rapporto del 2018 una diminuzione di questa popolazione al di sotto dei 2,2 milioni. Nel Bel Paese, i Neet formano il 24,1 % della popolazione tra i 15 e i 29 anni, con forti differenze territoriali (Nord: 16,7 %; Centro: 19,7 %; Sud: 34,4). Tali numeri e precisazioni ci sono utili per comprendere meglio la natura di un fenomeno che tutt’oggi vede caratterizzare molti giovani italiani, a cui spesso non viene data una voce.

Gli hikikomori sono ragazzi che sviluppano un senso di pulsione di isolamento tale da trovare, dalla propria stanza, conforto solo nel web e nelle nuove tecnologie.

Hikikomori, un tentativo di definizione psichiatrica

Proprio uno psichiatra, Saito Tamaki, ha formulato il termine hikikomori per riferirsi a coloro che hanno scelto consapevolmente di recludersi dalla vita sociale. Il ministero giapponese, poi, ha dichiarato che tale condizione è attribuibile a coloro che vivono una condizione di autoreclusione per almeno sei mesi.

È bene sottolineare che il fenomeno dell’hikikomori al momento non è caratterizzato da una definizione psichiatrica univoca. Tateno e colleghi (2012) in un’intervista a oltre 1000 specialisti hanno concluso che la relazione tra questa condizione e alcuni disturbi psichiatrici (in particolare, schizofrenia e disordini stress correlati) esiste. Il termine hikikomori, secondo gli autori, può essere usato per descrivere un profondo ritiro sociale che può presentarsi in persone con disturbi psichiatrici. Tuttavia, il dibattito in merito è aperto: Teo e colleghi (2010) proposero l’introduzione della condizione di hikikomori come patologia all’interno del DSM 5 ma questa non è stata poi portata a compimento.

La presenza, ormai, del fenomeno in più nazioni sembra escludere la possibilità che si tratti di una sindrome culturale internalizzante.

Ciononostante, resta difficile stabilire se possa escludersi anche la possibilità di definirlo in futuro come una psicopatologia a sé. Aldilà della classificazione, è bene continuare ad approfondire la natura di un fenomeno che compromette il funzionamento di diversi individui nel mondo. Dall’analisi di alcuni studi, è possibile delineare una sintomatologia possibile:

  • Ritiro sociale come sintomo primario (Saitō,1998);

  • Autoreclusione di una durata variabile – da mesi ad anni (Aguglia e colleghi, 2010);

  • Diversi tipi di fobie, tra cui la fobia scolastica (Zielenziger, 2006);

  • Agorafobia;

  • Alterazione del ritmo sonno-veglia (Saitō,1998).

Per quanto sia stato spesso evidenziato come le caratteristiche dell’Hikikomori possano cambiare da Paese a Paese, le suddette  sono quelle maggiormente trasversali a diversi Paesi.

In Italia, Giannini e Loscalzo (2016) hanno sottolineato come il carattere maggiore di questo fenomeno possa essere dato dall’ansia sociale. Ecco alcuni segnali, secondo gli autori, a cui prestare attenzione per vertere verso una definizione di hikikomori: il bias negativo e una maggiore credenza nell’interpretazione negativa. Gli hikikomori italiani, quindi, mostrano una forte tendenza a interpretare negativamente i vissuti e a pensare che tale processo di pensiero li possa in qualche modo difendere dalla realtà.  Gli stessi autori (2015) hanno validato l’AIBQ per gli adolescenti italiani, uno strumento che identifica il bias interpretativo.

Dal punto di vista terapeutico, Spiniello e Quintavalle (2015) ricordano come la sfida per lo psicologo sia proprio l’essere accettato dal ragazzo nel mondo immaginario e protetto che il soggetto si è costruito. Non sarà praticamente mai il ragazzo a cercare lo specialista: lo psicologo, interpellato da altri, deve andare nel mondo dell’hikikomori. Lo specialista deve trovare il modo di mostrare il proprio valore al ragazzo o alla ragazza in questione. Gli hikikomori, nella propria stanza, si costruiscono un vero e proprio palcoscenico con ruoli e scenari ben definiti: lo psicologo deve sapersi guadagnare un ruolo.

Il ruolo della Realtà Virtuale

Il mondo che l’hikikomori si costruisce attraverso il web e le nuove tecnologie può essere uno spazio in cui sprofondare oppure un modo per mantenere una socialità. Hikikimori Italia è un esempio dei tanti spazi di supporto chhikikomorie si sono costituiti nel mondo del web: per sensibilizzare sul tema ma anche per fungere da rete di supporto per gli hikikomori stessi.

Per il fenomeno in questione, la diffusione della realtà virtuale al largo pubblico può f

ungere sia da vantaggio che da svantaggio. Per il ragazzo, questa può essere un modo per arricchire il proprio mondo attraverso videogiochi di proprio interesse senza approfondire tipi di relazioni in cui si sente meno sicuro. Si tratta quindi, di un effettivo rischio.

Tuttavia, è solo attraverso il web, campo in cui gli hikikomori percepiscono una maggiore sicurezza che si può cercare di attrarre l’attenzione degli hikikomori oppure di costruire delle linee di supporto. Allora, perché non si può pensare alla realtà virtuale come ad uno strumento usato dallo psicologo per far esperire al ragazzo un mondo il più simile possibile a quello a cui è abituato? Prima di avere contatti con il mondo reale, è bene che l’hikikomori sviluppi un progressivo senso di fiducia. Il fatto che lo psicologo abbia la possibilità di costruire dei setting il più familiari e controllati possibili, offre grosse possibilità di miglioramento.

Le testimonianze di hikikomori che sono usciti da un ritiro sociale grazie al mondo del web esistono e le forme di supporto online sono presenti, anche in Italia.

È importante, quindi, sfruttare in modo pregevole il mondo del web e le nuove tecnologie in modo da aiutare i ragazzi che si trovano in questa condizione ad uscirne in un modo percepito, da loro stessi, come sicuro. Come si è evidenziato, alcuni elementi chiave di questo fenomeno sono la mancanza di fiducia nel mondo esterno e relativa ansia: il web viene vissuto come la possibilità di esperire un proprio mondo. Ristrutturare, quindi, tale meccanismo attraverso l’aiuto di uno specialista che è in grado di guadagnarsi la fiducia del soggetto e di usare strumenti che sono in qualche modo a lui familiari (VR) può essere un ottimo punto di partenza per una terapia ad hoc.

hikikomoriPer quanto il fenomeno non sia una fobia sociale o un’agorafobia, dopo un lungo periodo passato in solitudine è vero che sintomi simili si possono manifestare. Ecco perché lo specialista può usufruire di app VR già esistenti per altri disturbi, integrandoli e adattandoli al paziente. Un esempio, di questo tipo, è CLAUSER VR: un’app di Virtual Reality concepita per aiutare i pazienti con agorafobia o claustrofobia attraverso il principio di esposizione.

Per convincere l’hikikomori a uscire dal proprio mondo demonizzare e colpevolizzare gli strumenti che in questo vengono usati (il web e le nuove tecnologie) darà al soggetto ulteriori motivi per interpretare negativamente il mondo esterno. Per evitare un’ulteriore chiusura degli hikikomori, è necessario avvicinarsi a loro attraverso scenari a loro familiari: usufruire delle loro conoscenze del web e delle nuove tecnologie, inoltre, farà percepire loro delle esperienze positive. Al contempo, la relazione con lo psicologo darà la possibilità all’hikikomori di vivere delle relazioni positive e sicure.

La sfida, quindi, è far vivere all’hikikomori delle relazioni costruttive in cui il proprio mondo viene valorizzato.

Maria Rosa Miccoli

Bibliografia

Aguglia E., Signorelli M. S., Pollicino C., Arcidiacono E., & Petralia A. (2010). Il fenomeno dell’hikikomori: Cultural bound o quadro psicopatologico emergente? Giornale di Psicopatologia16, 157-164.

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Loscalzo, Y., & Giannini, M. (2015). Prevenzione del disturbo d’ansia sociale in adolescenza. Proprietà psicometriche dell’Adolescents’ Interpretation and Belief Questionnaire (AIBQ). Counseling. Giornale Italiano di Ricerca e Applicazioni, 8(2).

Saitō, T. (1998). Shaikaiteki hikikomori: Owaranaishishunk [Hikikomori: Adolescence without end]. Tokyo: PHP Kenkyuujo

State of Mind (2017). Social withdrawal e hikikomori: definizione e ipotesi d’intervento. Disponibile da https://www.stateofmind.it/2017/04/hikikomori-social-withdrawal/

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Tateno, M., Park, T.W., Kato, T.A., Umene-Nakano, W. & Saito, T. (2012). Hikikomori as a possible clinical term in psychiatry: a questionnaire survey. Psychiatry, 12, 169.

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Zielenziger, M. (2006). Non voglio più vivere alla luce del sole: Il disgusto per il mondo esterno di una nuova generazione perduta. Roma, Italia: Elliot.

Zorzoli, M. (2018). Hikikomori, è boom anche in Italia: migliaia di giovani si recludono in casa. Business Insider – Italia, disponibile da https://it.businessinsider.com/hikikomori-boom-italia-ecco-chi-sono-i-100mila-giovani-italiani-che-si-autorecludono-in-casa/

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