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Testimoni di una cronaca 2.0

LA CRONACA – I FATTI

Qualche giorno fa Amix, un texano di 43 anni, ha postato su Facebook un selfie con la fidanzata appena uccisa. Le due foto nelle quali si vedeva la ragazza, Jennifer Streit-Spear, in un lago di sangue sono rimaste online per 36 ore.

Mi hanno detto che potevo bloccare Jennifer, se non mi piaceva quello che aveva postato.

La sorella, così come amici di Jennifer, testimoniano di aver incontrato resistenze e difficoltà rispetto ai loro reiterati sforzi di far rimuovere dal social network le foto.

In effetti, solamente dopo 36 ore Facebook ha rimosso il post, inviando il seguente messaggio: “Since it violated our Community Standards, we removed it. Thanks for your report” (Dal momento che la foto viola gli standard della nostra Comunità, l’abbiamo rimossa. Grazie per averla segnalata).

Sulla pagina dedicata ai Community Standards di Facebook si legge che la compagnia:

proibisce i contenuti che promuovono o incoraggiano il suicidio o altri tipi di autolesionismo”.

Inoltre Facebook “rimuove le immagini che sono condivise per il piacere sadico o per celebrare e glorificare la violenza.

Si specifica anche che  i contenuti segnalati vengono analizzati da esperti nell’arco di 72 ore. 

Nessuna contraddizione quindi con il comportamento di qualche giorno fa.

Il social network, però, ha ricevuto numerose accuse e critiche per il tempo impiegato ad eliminare la scena raccapricciante dell’omicidio di Jennifer.

In effetti, dal momento che si stima che i suoi 1.500 milioni utenti trascorrano in media 50 minuti al giorno sul social network, gli amici di Jennifer avrebbero visto la foto sulla piattaforma per  circa 1 ora e un quarto.

Quello di Jennifer non è un caso isolato.

LA SITUAZIONE IN ITALIA

Anche in Italia si moltiplicano i casi che vedono concludersi gesti efferati con il macabro piacere del ‘selfie con la vittima’: gli omicidi di Giulia Taesi, di Vincenzo Amendola, di Anna Maria Cenciarini sono solo alcuni degli esempi di questo fenomeno.

Lo scatto con l’oggetto delle proprie sevizie e violenze sembra divenire sempre più spesso forma di appagamento perverso e completamento dell’opera, che sia un omicidio, una violenza sessuale o un episodio di bullismo.

La storia di Amix e Jennifer tuttavia ci racconta un aspetto non secondario di questo tragico fenomeno: nel mondo 2.0 la testimonianza di un gesto violento può coinvolgere un numero incontrollabile di persone in un arco di tempo estremamente ristretto.

Il rapido diffondersi di questi episodi impone una riflessione: che non sia forse giunto il momento per Facebook di migliorare la sua velocità di reazione alle segnalazioni degli utenti?

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